2023-02-08 Quello che ho capito sulla mindfulness

Quasi tutto, nella vita, è un gioco, o una coreografia.

Il lavoro, il corteggiamento, la socializzazione, i viaggi, gli investimenti, la scrittura, prendere un caffè, guidare, fare esercizio e, in pratica, qualsiasi altra attività che svolgi, hanno uno scopo. Hanno delle regole, prevedono vittoria o fallimento in una certa misura. Hanno ciascuna una definizione di successo.

Tutte queste cose possono essere vaghe o ambigue, ma ci sono. Puoi dire: “Non io! A me non interessano le promozioni o fare un sacco di soldi al lavoro”. Ok, ci sta. Ma magari ti interessa la stabilità, o essere bravo nel tuo campo, o avere la soddisfazione di aver fatto qualcosa di utile.

Se ci pensi bene e con onestà, quasi certamente puoi trovare una qualche ragione e una qualche strategia per soddisfare al meglio questa ragione.

La mindfulness è questo: uscire dal gioco.

Non puoi vincere, con la meditazione. Non puoi essere migliore o peggiore di altri a meditare. Ti siedi per un minuto o dieci ai margini della vita che succede, e non giochi.

Farlo è fottutamente difficile.

Il cervello è così abituato, e così bravo, a giocare che fa fatica a non giocare. A non studiare la scacchiera della tua esistenza.

E qui entrano in gioco tutte le tecniche.

Concentrarsi sul respiro. Ripetere un mantra. Immaginare che la luce vi entri nella fronte quando si inspira. Qualsiasi cosa. Non sono l’obiettivo: sono solo una distrazione, in modo da non andare a pensare a quale possa essere il migliore approccio per quella persona attraente che avete incontrato, o a cosa c’è per cena.

Il modo in cui piace farlo a me è immaginare di spingere i pensieri dietro a un vetro. Guardare il gioco dei giochi che si svolge in una vetrina o su uno schermo.

Non è necessario essere bravi a meditare. Anzi, se la pensate così, non la state facendo. Basta essere da soli, veramente da soli, con se stessi.

A volte è tutto ciò che avete.

A volte, è tutto ciò di cui avete bisogno.